Il rimpasto
E così Alessandrini ha dato vita al rimpasto di giunta. Già, il rimpasto: uno di quei termini che sembravano appartenere ad altri tempi e ad altri mondi. Una di quelle formule che odorano di prima repubblica, di pentapartito e di obsolete alchimie politiche. Una di quelle pratiche vecchie, come le logiche che portarono alla nomina di Veronica Teodoro, che fino a ieri era il più giovane assessore d’Italia, ma che aveva il solo merito di essere la figlia di un ras della politica.
Più che fare rimpasti, sarebbe ora che la politica desse risposte e soluzioni, perché Pescara è una città oggettivamente agonizzante. Il centro cittadino assomiglia più alla periferia di Bucarest ai tempi di Ceausescu che al salotto di una località europea di media grandezza. Basta farsi un giro in Spagna o in Francia o in Germania, per avere la netta impressione di trovarsi in epoche e a latitudini completamente diverse. Nei dintorni di piazza della Rinascita, fabbricati fuori dal tempo e strade dissestate rendono l’atmosfera straziante. Il commercio, da sempre cuore pulsante della città, è ormai al collasso e lungo un desolato corso Vittorio Emanuele, che non è più né pedonale e né aperto al traffico, né commerciale né residenziale – in poche parole non è né carne né pesce – si azzardano a passeggiare solo pochi coraggiosi. L’area di risulta della stazione, che da trent’anni è in attesa di una destinazione, continua ad essere solo una distesa di cemento e un terribile biglietto da visita per chi arriva a Pescara. Per non parlare delle periferie, completamente abbandonate al proprio destino.
Eppure, nonostante tutto questo, Pescara ha sempre avuto qualcosa che per oltre un secolo ha attutito gli effetti di scempiaggini politiche e disastri urbanistici: il mare. Un regalo della natura, forse immeritato visto come è stato trattato. Ad ogni modo anche questo piccolo grande patrimonio, con le scelte folli degli ultimi anni, è stato dilapidato. Il risultato è che anche quei pochi turisti che si azzardavano a passare l’estate in città, dopo avere avuto la fortuna di trovare posto in uno dei pochi alberghi della zona, l’estate scorsa hanno cambiato destinazione. Se poi ci fosse stato qualcuno pronto a sfidare la logica e il buon senso, e a venire comunque in vacanza a Pescara nonostante i divieti di balneazione, ci ha pensato la giunta Alessandrini a dissuaderlo, imponendo una bella tassa di soggiorno. Per la gioia degli operatori del turismo e del commercio.
Naturalmente non è tutta colpa del sindaco, che ad esempio sul mare si è ritrovato con il cerino in mano. I problemi vengono da lontano, sono stati in larga parte determinati da scelte del passato, ma è anche vero che questa giunta ha fatto ben poco per provare a risolverli. Il crollo del consenso nei confronti di questa amministrazione è sotto gli occhi di tutti e basta girare nei bar o nelle strade di Pescara per registrare l’insoddisfazione dei cittadini. In teoria ci sarebbe ancora tempo per recuperare e per imprimere una svolta. Di certo, però, non basta un rimpasto. D’altronde se ci si limita a rimescolare gli stessi elementi, in modo appena un po’ diverso, la sostanza non cambia e i risultati neppure.