Bambino morto mentre giocava a pallone, parla il legale della famiglia
TERAMO, 22 febbraio – Sulla vicenda relativa alla morte di Marco Calabretta, il ragazzino di Pineto deceduto mentre giocava a calcio con i compagni, e sull’imputazione coatta del medico del 118 che gli prestò i primi soccorsi, accusato di omicidio colposo, interviene il legale della famiglia e zio del bimbo Giulio Calabretta che fornisce alcune precisazioni.
Precisazioni contenute in una nota in cui il legale sostiene come nella perizia, sulla scorta della quale la Procura aveva chiesto l’archiviazione anche per il medico del 118, non fosse scritto che, anche usando il defibrillatore, Marco non si sarebbe salvato.
“A prescindere da ciò – scrive il legale – il medico del 118 risponde per quello che non ha fatto e cioè per l’assoluta assenza diagnostica rispetto a quella terapeutica. Egli era tenuto ad inquadrare il quadro clinico e adottare le cure specifiche. Non lo ha fatto. Il cuore andava defibrillato e non è stato fatto. Nessuno ha mai detto e nessuno può dire che Marco, anche usando il defibrillatore dopo sette minuti, non si sarebbe potuto salvare”.
Per la famiglia, ed anche per il gip che ha disposto l’imputazione coatta, firmata nei giorni scorsi dal pm, il defibrillatore andava usato e questo sia a scopo diagnostico che di terapia.
“Il defibrillatore andava usato – continua l’avvocato – Marco, rammentiamo, è morto dopo tre ore e più e aveva solo nove anni quindi non aveva il fisico di un adulto in età avanzata e ammalato. La questione va vista nel suo complesso unitamente ad altri aspetti non limitandosi solo alla relazione la quale comunque ha previsto una possibilità salvifica del 30 per cento che a modesto parere del sottoscritto non è poco per salvare la vita di una persona e soprattutto di un bambino di 9 anni”.