Insulti razzisti a Muntari, il giocatore squalificato e neanche una multa al Cagliari
PESCARA, 2 maggio 2017 – Degno epilogo per un sistema calcio che giorno dopo giorno si dimostra sempre più ipocrita e meno credibile. Sulley Muntari, il calciatore ghanese del Pescara che domenica scorsa ha subito insulti a sfondo razziale nello stadio di Cagliari, per l’Onu è un esempio contro il razzismo mentre per la giustizia sportiva merita un turno di squalifica. Al Cagliari Calcio, la società indirettamente responsabile di essere sostenuta da tifosi ottusi e razzisti, neanche un’ammenda. Follie e paradossi di un sistema che predica bene, lanciando campagne contro il razzismo e altre iniziative di pura facciata, e che razzola male, quando c’è da dimostrare con i fatti da che parte si sta.
In Sardegna, nei minuti finali di Cagliari-Pescara, i filmati televisivi non chiariscono cosa sia stato urlato a Muntari né il momento esatto in cui il giocatore è stato insultato, ma si nota il giocatore imbufalito pochi secondi dopo essere finito a contatto con la recinzione che separa il campo dagli spalti. A quel punto Muntari si scaglia contro l’arbitro, chiedendo l’interruzione della gara per insulti a sfondo razziale. Le proteste proseguono per lunghi attimi, nel corso dei quali i microfoni delle tv registrano nitidamente i “buu” razzisti di gran parte dello stadio: in un clima del genere, tutto ciò che l’arbitro Minelli riesce a fare, è sventolare un cartellino giallo in faccia a Muntari, che a quel punto sceglie di andarsene, abbandonando il terreno di gioco e lasciando la sua squadra in dieci.
In realtà la squalifica di Muntari è un atto dovuto, in quanto il giocatore era entrato in diffida già prima della partita in Sardegna e il cartellino giallo rimediato a Cagliari ha fatto scattare la sanzione. E’ anche vero, però, che fare finta di nulla e applicare ottusamente le norme, di fronte ad un episodio così grave, è una scelta pilatesca e anche un po’ vigliacca. Per il palazzo del calcio, ancora una volta, conta solo riaffermare che il sistema è sano e non incorre mai in errore: i sacerdoti del dio Pallone avrebbero fatto una figura di gran lunga migliore ammettendo che l’arbitro, a Cagliari, ha sbagliato a sottovalutare la situazione ed ancor più ad ammonire il giocatore; che la reazione pur scomposta di Muntari (che in ogni caso non è andata al di là delle parole) era comprensibile alla luce della gravità di quanto accaduto; che il razzismo, in nessun caso, può essere tollerato su un campo da gioco.
Quanto meno, però, ci si sarebbe aspettati la squalifica del campo del Cagliari o almeno un’ammenda alla società, come avviene normalmente in questi casi. E invece la giustizia sportiva riesce a superare qualsiasi immaginazione nel motivare l’assenza di sanzioni:
“Considerato che i pur deprecabili cori di discriminazione razziale sono stati percepiti nell’impianto in virtù anche della protesta silenziosa in atto dei tifosi (come segnalato dagli stessi rappresentanti della Procura federale) ma, essendo stati intonati da un numero approssimativo di soli dieci sostenitori e dunque meno dell’1% del numero degli occupanti del settore (circa duemila), non integrano dunque il presupposto della dimensione minima che insieme a quello della percezione reale è alla base della punibilità dei comportamenti in questione, peraltro non percepiti dagli Ufficiali di gara (come refertato dall’Arbitro), a norma dell’art. 11, comma 3, CGS; delibera di non adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti della Soc. Cagliari”.
Insomma il problema non sono gli insulti razzisti, ma il fatto che ci fosse poca gente allo stadio e che dunque fosse più facile udire gli insulti. Inoltre l’arbitro avrebbe compiuto un calcolo approssimativo dei tifosi razzisti – non si capisce in quale momento e sulla base di quali elementi – arrivando a stilare una proiezione percentuale, peraltro ampiamente smentita dall’audio delle televisioni, perchè i “buu” razzisti, nel momento in cui Muntari protesta, arrivano da una larga parte del pubblico presente. Complimenti al palazzo del calcio e complimenti alla “giustizia” sportiva. La fiera dell’ipocrisia continua.