Rigopiano, lanciò primo sos: “Verità venga fuori”. Al ‘professore’ il grazie della famiglia Parete
SILVI, 23 novembre – “E’ giusto che venga fuori la verità, non potevano essere solo poche persone. Delle colpe sicuramente ci sono, ma non spetta a me dire di chi siano, per questo c’è la giustizia”. Così il professor Quintino Marcella, docente dell’Istituto alberghiero De Cecco di Pescara, il primo che, senza essere creduto, lanciò l’allarme per la valanga che travolse l’hotel Rigopiano.
Marcella è il datore di lavoro del cuoco Giampiero Parete, il quale, in vacanza a Rigopiano con la moglie e i due figli – la famiglia al completo fu tratta in salvo – era andato a prendere delle medicine in macchina quando la struttura fu spazzata via. Considerato che i telefoni cellulari non funzionavano bene, il cuoco riuscì a contattare il docente su WhatsApp.
“Sono contento che Giampiero, la sua famiglia e altre persone siano vive, ma fa male che gli altri non ce l’abbiano fatta. Non è una gioia che mi riempie, perché ci sono 29 morti. La mia coscienza, però, è a posto: ho fatto il possibile e sono stati salvati tutti quelli che si potevano salvare”.
Proprio la famiglia Parete, nei giorni scorsi, ha donato a Marcella una targa con la scritta ‘Si dice che nulla è per sempre, ma se anche un piccolo gesto riesce a toccare il cuore, rimane per sempre custodito nell’anima…’ con la foto di Giampiero, sua moglie e i due figli sani e salvi all’ospedale di Pescara due giorni dopo la valanga.
“Io vivo per il bene che mi vuole la gente – dice – del resto non mi interessa, non mi importa dei soldi, ho altri valori. In questi mesi ricevo testimonianze di affetto da parte di persone che non ho mai conosciuto. Mi definiscono un eroe, ma non mi sento un eroe. Faccio il volontario da una vita. Quel giorno non ho fatto nulla di diverso da ciò che andava fatto”.
“Ho chiamato tutto e tutti, ogni numero di emergenza e tanti privati – racconta il docente – La mia mente era in panne, ho lanciato urli di aiuto a chiunque, mentre nei suoi messaggi Giampiero continuava a chiedermi quando sarebbero arrivati i soccorsi. Rocordo la sofferenza, il senso di impotenza, l’impossibilità ad agire, a fare tutto”.
“Ho la testa dura”, dice il professore, sottolineando che “forse se non avessi insistito così tanto ci si sarebbe accorti dell’accaduto solo 24 ore dopo”.
“Io vivo per il bene che mi vuole la gente. Del resto non mi interessa, non mi importa dei soldi, ho altri valori. In questi mesi ricevo testimonianze di affetto da parte di persone che non ho mai conosciuto. Mi definiscono un eroe, ma non mi sento un eroe. Faccio il volontario da una vita. Quel giorno – conclude Marcella – non ho fatto nulla di diverso da ciò che andava fatto”.