Valanga di Rigopiano: ecco perché i politici sono usciti dall’inchiesta
PESCARA, 27 novembre – La richiesta di archiviazione formulata dalla Procura di Pescara nei confronti di diversi politici regionali è il primo spartiacque nella maxinchiesta sulla tragedia di Rigopiano.
Le motivazioni del Pm si incardinano innanzitutto sui ruoli dei diversi livelli, quello politico e quello amministrativo, in relazione all’attività da svolgere:
“Alla luce della legislazione vigente durante le condotte pluriennali qui considerate e alla luce di tutto quanto sopra esposto, appare evidente che, nel caso di specie, gli obblighi giuridici di attivarsi penalmente, rilevanti in quanto impeditivi dell’evento nelle fattispecie delittuose ipotizzate, gravano in via esclusiva sugli appartenenti alla dirigenza tecnico amministrativa dell’ente, non essendo emersi profili di concreto coinvolgimento degli appartenenti alla direzione politica tali da fondare anche una loro concorrente responsabilità penale”
Ed è per questo che la Procura ha hiesto l’archiviazione nei confronti dei tre ex presidenti della giunta regionale Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco, e Gianni Chiodi, e degli ex assessori con delega alla Protezione civile Tommaso Ginoble, Daniela Stati, Mahmoud Srour, Gianfranco Giuliante e Mario Mazzocca, nell’ambito dell’inchiesta sul disastro dell’Hotel Rigopiano di Farindola (Pescara), con specifico riferimento al filone d’indagine sulla mancata realizzazione della Carta di localizzazione dei pericoli di valanga (Clpv).
Complessivamente, per la Procura
“è emersa in modo ampio e diffuso una scarsa sensibilità e attenzione in materia di Protezione civile sullo specifico tema del pericolo da valanghe da parte degli organi tecnici della Regione e in particolare è dato un comportamento di ‘sudditanza psicologica’ gravante sulle figure dirigenziali, la cui carriera dipende gerarchicamente dal favore del politico, verso quest’ultimo: sudditanza che si traduce nel non voler porre al politico richieste (stanziamento) che si intuisce non sono nelle di lui priorità di programma”.
Secondo l’accusa
“questo modo di essere e quindi di operare è certamente censurabile nel funzionario ma pone un serio interrogativo anche sulla qualità di un politico che a priori viene percepito dal tecnico così sordo a ciò che non lo motiva politicamente, che non gli si pone nemmeno la richiesta. Ovviamente questi temi non implicano un apprezzabile rilevo penale – sottolineano i magistrati – ma è necessario farne qui menzione perché concorrono a spiegare le condotte (omissive) che hanno portato alla presente richiesta di archiviazione per i politici, procedendosi invece nei confronti di alcuni funzionari”.
Specificamente per quanto riguarda il livello politico la Procura scrive che:
“Laddove il rimprovero ai politici fosse nei termini di non essersi comunque attivati per realizzare una Clpv su tutto il territorio montuoso abruzzese, che come tale di necessità avrebbe ricompreso Rigopiano, detta censura posta in riferimento alla causalità dell’evento del 18 gennaio 2017 dovrebbe necessariamente confrontarsi anche con il dato acquisito dall’integrazione di consulenza tecnica, che per licenziare operativamente una siffatta Clpv occorrono non meno di 4 anni e 4 mesi, finendo con escludere dalla rimproverabilità penale gli indagati che hanno assunto responsabilità di governo successive, cioè in tempi ormai non utili ad avere una Clpv per tutto l’Abruzzo e quindi comprendente anche Rigopiano, come tale idonea ad impedire in tesi di accusa l’evento”.
La Procura poi esamina in amniera specifica la condotta tenuta dalle Giunte che si sono succedute alla guida della Regione cominciando da quella a guida Del Turco:
“Si deve rilevare – si legge nella richiesta di archiviazione – che sono state assecondate le iniziative e le richieste della dirigenza amministrativa per la elaborazione della Carta storica delle valanghe, quale documento necessariamente propedeutico alla Clpv”.
L’elaborato finale della Carta storica è stato approvato dal Coreneva, ma l’allora dirigente Vincenzo Antenucci
“non ha provveduto alla trasmissione della Carta, omettendo di dare seguito a tali disposizioni dell’organo tecnico collegiale”.
Per quanto riguarda la Giunta Chiodi, la Procura affema che “le iniziative inerenti gli aggiornamenti della Carta storica delle valanghe sono proseguite” e che anche in questo caso il dirigente Antenucci “ometteva la trasmissione all’organo politico”.
Inoltre viene evidenziato che durante la Giunta Chiodi vi stato “un impulso politico in materia di Protezione civile” e che nel 2014 con delibera di Giunta regionale
“veniva approvato l’elaborato della Carta storica delle valanghe, questa volta ritualmente trasmesso anche a tutti i Comuni dove erano state censire le valanghe, tra cui Farindola”.
Ultimo passaggio è quello dei tempi più recenti, che riguarda D’Alfonso e Mazzocca:
“non sono emersi – per la Procura – elementi per ritenere che l’indirizzo politico già avviato in materia di Protezione civile con riferimento, in particolare, al tema della prevenzione dei rischi da eventi valanghivi in territorio abruzzese sia sostanzialmente mutato e che le direttive e le disposizioni impartite al riguardo dall’organo politico siano state revocate o disattese”.
I pm sottolineano infatti che
“durante tale periodo è stata ultimata la redazione della Clpv per il bacino sciistico del Gran Sasso ed impegnata la somma di 43 mila euro per la predisposizione del secondo lotto della Clpv relativo ai bacini sciistici di Aremogna, Monte Pratello, Pizzalto e Campo Felice. È stato pertanto mantenuto l’ordine di priorità temporale già indicato dal Coreneva – è scritto ancora nella richiesta di archiviazione – anche se, in realtà, mai aggiornato per inerzia della dirigenza tecnica”.